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Il termine, in principio fu usato da Zenone di Elea, discepolo di Parmenide, per difendere la tesi parmenidea dell’unità dell’essere, riducendo all’assurdo le posizioni contrarie. Era utilizzato dai sofisti per l’abuso dell’argomentazione allo scopo di ottenere ragione su un avversario nella discussione. Proviene dalla parola greca dialegein (dia+logon “dialogo che va da una parte all’altra”). Da qui dialektikos, dialettico, colui che ha una visione di insieme (sinossi) della realtà; e “concerne alla dialegein” e dialektiké, come arte di dialegein. La D. comprende oltre alla riconduzione del molteplice all’unità, anche l’opposto procedimento di divisione dell’oggetto nelle sue parti componenti. Come tale è sinonimo di diaìresi, divisione. In quanto la ricerca consensuale della verità, viene contrapposta all’eristica, ossia alla disputa.

La D. fu la base del metodo socratico che, nelle opere di Platone, è stato usato come arte del dialogo  inteso nella forma di domande e risposte per giungere a un’idea indivisibile (tra tesi e antitesi per la sintesi) e anche per indicare l’uso corretto di questa tecnica, nel senso prospettato appunto da Socrate all’élite della gioventù ateniese. Da qui Platone elabora la dottrina della verità (la “dottrina delle idee”) per fondare il discorso filosofico su di essa. Per lui la D. diventa il sinonimo della filosofia stessa. Secondo Aristotele la D. si identifica con il procedimento razionale non dimostrativo. Per lui dialettico è il sillogismo il quale, invece di partire da premesse vere, come fa il sillogismo scientifico o dimostrativo, parte da premesse probabili, ossia da premesse che, pur non essendo auto evidenti come gli assiomi, sembrano “accettabili a tutti, oppure alla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti ed illustri” (Top., I, 1, 100b, 20-25). Comunque definito come la logica delle possibilità. Per Aristotele la D. svolge anche un ruolo rilevante nell’ambito        scientifico e si differenzia dall’analisi: serve – come l’induzione – nella ricerca dei “principi” primi delle scienze. Oltre alla sensazione e all’esperienza, nella conoscenza dei principi delle scienze, la dialettica, che ha importanza come la tecnica della confutazione, permette di verificare la solidità dei principi e delle tesi da cui i diversi filosofi muovono nello studio di un determinato campo  d’indagine. Per i “socratici minori” (cinici, megarici, cirenaici) è eliminata ogni possibilità di comunicazione intersoggettiva affermando l’impossibilità stessa della D. e del discorso razionale come metodo per giungere alla verità. Da qui, la politica diventa un palcoscenico tra opinioni contraddittorie, a nessuna delle quali è possibile attribuire un valore di verità. Anche per gli Stoici lo sviluppo della D. ebbe forma di domande e risposte, per cui la definirono “la scienza di ciò che è vero e di ciò che è falso e di ciò che non è né  vero, né falso”. Riguardo            quest’ultima affermazione, cioè,  essi intendevano i ragionamenti considerati dal punto di vista della semplice conclusione formale, sia i sofismi sia i paradossi, sulla cui verità o falsità non si può decidere. I neoplatonici Plotino e Proclo contribuirono allo successivo sviluppo della D.

La D. fu largamente utilizzato in età medievale, quando costituiva una delle materie dell’insegnamento delle arti liberali del trivio. Basandosi sull’eredità dell’età classica, Giovanni Scoto Eriugena elabora una sintesi filosofica sotto gli influssi neoplatonici e areopagitici, dove la logica dialettica non regola solo lo svolgersi del pensiero, ma si identifica con l’ordine del reale. Nella scolastica la D. era opposta alla retorica ed era definita come logica formale. Nel Rinascimento, Nicola Cusano e Giordano Bruno utilizzano le idee dialettiche nel contesto della coincidenza dei contrapposti.

Nell’epoca moderna Descartes e Spinoza cominciano ad occuparsi della D: In Francia Diderot e Rousseau studiano le contraddizioni dello sviluppo storico e della coscienza sociale, ma la vera fioritura la D. conobbe nell’Idealismo tedesco, quando Leibniz  propose l’idea dell’autosviluppo dei monadi e dell’unità dei principi conoscitivi dei contrapposti. Da Kant la D. fu evidenziata accanto alla logica, per cui la ragione non era in grado di costruire una metafisica perché, quando ciò accade, si producono le verità apparenti. Nella discussione sul principio della causa, Kant mostrò che la ragione non può deliberare e deve necessariamente cadere in contraddizione nelle antinomie. In questo senso, nella sua “dialettica della ragion pura”, dichiarava che una delle   antiche definizioni della D. fosse la “logica dell’illusione”, delineando i limiti della ragione pura, che oltre i suoi confini giungeva alla dimensione delle antinomie. Kant rielabora la differenziazione tra la logica formale (quale nasce da Aristotele) e a logica trascendentale, la futura base della logica dialettica, da cui scaturisce il materialismo dialettico di Marx e Engels, fondate sugli elementi della dialettica hegeliana e del materialismo filosofico di Feuerbach. Fichte e Schelling hanno sviluppato le nozioni della triade dialettica: tesi, antitesi e la loro sintesi. Basandosi sull’eredità di Kant, dove l’ontologia (metafisica) comincia ad avvicinarsi alla logica, come alla scienza della conoscenza, con Hegel la D. diventa la legge della ragione umana, la quale riproduce nel pensiero le opposizioni che si danno nella realtà, e insieme il principio immanente di sviluppo della realtà stessa; è il modo in cui la ragione opera, ma è anche il modo in cui funziona la realtà. Allo stesso tempo le antinomie nella D. hegeliana si trasformano dalle contraddizioni logiche a quelle metafisiche allargando la dimensione dialettica dalla semplice teoria degli argomenti allo storico processo dell’evoluzione dello “spirito”. Con Marx abbiamo la riduzione e la sostituzione dello spirito con la materia.

Nella Scuola di Francoforte, creata sulla base dell’Istituto della ricerca sociale, il risultato della collaborazione tra Theodor Adorno e Max Horkheimer nell’ambito della D. proponeva il problema dell’autodistruzione della ragione moderna e della libertà (“La dialettica dell’Illuminismo”, 1941). Nella sua “La dialettica negativa” (1966) Theodor Adorno configura la mimesi e la ragione, con i quali nega la sistematicità, desiderando che esse rimangano teoria; protesta contro il metodo, ma dimostra il metodo dialettico nella catena dell’analisi dei modelli. Per Adorno è fondamentale l’alternativa alla ragione strumentale o manipolativa, cioè la relazione non-dominante e non strumentale verso la natura e gli uomini, che nell’età contemporanea si personifica con l’arte. Secondo Habermas la tradizione critica ha esaurito se stessa e la suafase successiva è la trasformazione nella comprensione intersoggettiva. Se durante la prima fase la Scuola di Francoforte analizzava la tendenza per impossessarsi della natura, Habermas rivolge questo orientamento tra gli uomini e opera le basi teoriche della ragione comunicativa, fondata sul discorso, contro quella strumentale, che comprende i sistemi di mercato e le burocrazie.

(Col ringraziamento speciale per la correzione, alla Dott.essa Caterina Pisu)